Sephira G.D.R.

Vados Otsuki

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    Mina Vagante!

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    ; Vados Otsuki
    « Non è stata la realtà a buttarmi a terra; sono stata io stessa.
    Sapevo di poter perdere tutto da un momento all'altro, tuttavia... Tuttavia ignoravo semplicemente questo. E quando la realtà mi ha mostrato cosa aveva in serbo per me... Sono caduta a terra, senza potermi rialzare. »
    nome e cognome Vados Otsuki
    soprannome Strega del Drago
    età 70
    provenienza Edo
    allineamento //
    residenza Clover
    orientamento sessuale Etero
    situazione sentimentale Sposata con Gintoki Sakata
    ruolo/occupazione Attualmente Cavaliere aad Astora
    stato economico Benestante
    razza Servant. Classi disponibili: Berserker, Lancer, Avenger e Ruler.

    aspetto fisico
    Vados ha dei capelli corti biancastri che le arrivano un po' sotto le orecchie. Sono scompigliati ed ha una " frangetta ". Gli occhi sono gialli ed ha una carnagione più chiara.
    Vederla sorridere è come un miracolo, se non proprio un miracolo stesso. Infatti, Vad tiene molto spesso un'espressione seria, assente e disinteressata. Non sorride e non esterna facilmente le sue emozioni.
    Ha una collanina al collo che porta quasi sempre.
    È solita indossare una tuta nera con zip scollata che comprende maglietta e pantaloncini, con sopra una giacca viola e pelliccia nera.
    I bordi della giacca sono dorati, l'interno invece arancio/rossastro.
    Indossa degli stivali sempre neri con lacci rossi.
    È abbastanza bassa, alta circa 1.59, e magra.
    È molto agile in combattimento, risultando anche molto veloce per la sua bassa statura.
    Ha un seno abbastanza abbondante.

    Quando è in missione per i Cavalieri Magici, indossa la mantellina dell'Alba Dorata.
    Questa è giallastra con una pelliccia blu, dietro lunga e di color rosso. Ha lo stemma della sua Compagnia davanti, dove sta il petto.
    carattere
    Vad è una ragazza abbastanza riservata e gelida nei suoi comportamenti, questo la rende una compagnia non molto piacevole quando non la si conosce poi molto bene. Tuttavia, in presenza di qualcuno a lei interessante o di un amico/familiare, tende a prendere un comportamento quasi più "scherzoso" ( anche se, comunque, non è di certo definibile estroversa ). Nonostante non ammetta facilmente di avere amici, tanto da chiamarli più compagni che amici, tiene molto a loro.
    Tende a sottovalutare i propri problemi, nascondendoli più che parlandone, perché teme in realtà di essere un problema per chi li ascolterebbe. Più che essere protetta preferisce proteggere.
    È abbastanza irascibile con alcuni argomenti o comportamenti, tanto da avere reazioni di pancia come risposta a questi.
    Generalmente preferisce evitare di immischiarsi in combattimenti, non perché non le piacciono ma più perché teme di lasciarsi troppo andare. Ha una natura sadica che tende a nascondere solitamente, ma che insieme ad alcune persone riesce a mostrare. In realtà una persona simile a lei in questo finisce solo per influenzarla e per farle involontariamente tirar fuori quel lato che preferisce non mostrare. Il metodo che più le piace per ammazzare qualcuno è dilaniare il più possibile le carni della vittima ( in combattimento se è uno sfidante o lentamente se non lo è ) con squarci più o meno profondi, cercando però di evitare le parti vitali, dar loro una piccola possibilità fasulla di salvezza per poter scappare e poi bruciarli fino alla morte, in modo tale che le fiamme possano penetrare l'interno del corpo e consumare la vittima da dentro durante un lamento assordante che da sfogo a tutte le possibili ultime forze del malcapitato.
    Per quanto all'apparenza la Strega del Drago possa sembrare solo gelida e sadica, il suo cuore arde e non solo fiamme, ma anche amore e dolcezza che raramente troveranno modo di esprimersi.
    Da giovane, dalla nascita fino al periodo in cui fece parte della guerra Joi, soffriva di depressione a causa dell'abbandono e delle violenze fisiche e psicologiche che il padre, fin da piccola, aveva inflitto lei.
    Detestava vivere, ritenendosi un fallimento e un errore. Qualcuno che non doveva nascere.
    Ogni giorno, infatti, provava ad ammazzarsi. In qualche modo si fermava.
    Tuttavia non ne aveva mai parlato con nessuno, per paura di far preoccupare " inutilmente " i suoi compagni.
    Un giorno, però, ne ha parlato con Gintoki.
    Fu per caso, quando Gin la trovò puntarsi un coltello alla gola.
    Lui la salvò, e alla fine Vad parlò con Gin di tutto. E grazie a lui, dopo anni, riuscì ad uscire dalla depressione.
    Proprio per questo lei lo ama come non mai. Lo considera come il suo tutto, quello di più prezioso che ha in vita. Come ammesso da lei stessa, Vad non riuscirebbe a vivere senza la presenza di Gin e, anche se dovesse farlo, sarebbe come vuota ed andrebbe avanti solo nella speranza che un giorno possa tornare da lei e dalle loro figlie.
    Prova un amore sincero verso i suoi quattro figli ( Emma, Yuria, Otsu ed Akahito ) e si considera " una madre orgogliosa che, nel bene o nel male, sarà sempre dalla parte dei suoi figli ".
    Un'altra persona... o meglio dire, creatura, che ha un posto nel suo cuore è Sephira.
    Sephira è il suo drago, diventato tale solo dopo che lei, mossa da una certa pena nei confronti di quel povero cucciolo di drago che doveva essere ucciso, ha deciso di allevare e di crescere.

    Poteri

    È in grado di controllare il fuoco a suo piacimento, tanto che è anche utilizzato nei suoi attacchi normali e nella sua Arma Nobile " La Groundment du Haine ". Forse perché abituata a controllare fiamme con temperature anche elevate, non sente il caldo.

    Bonus:
    Come tutti i Servant, Vad può far materializzare armi nelle sue mani. Può teletrasportarsi ed ha gli Incatesimi di Comando di ogni Servant evocato.
    Gli Incantesimi di Comando sono degli Incantesimi che si mostrano come tatuaggi sul corpo di Vad, con la quale lei può comandare e ordinare agli altri Servant qualcosa.
    Armi

    Come armi possiede una lancia-bandiera, una spada e due katana.

    Arma Nobile: Ogni Servant possiede una ( o più )Arma Nobile, ovvero l'arma più forte che il Servant può avere.
    La sua Arma Nobile è una delle più forti. È chiamata " Argalia " ed è una spada abbastanza grande con elsa e lama nera. Sulla lama vi sono dei dettagli rossi.
    Quest'Arma è anche molto pericolosa per Vad, dato che quest'arma è proprio il suo cuore.
    Per attivarla, infatti, Vad deve conficcarsi il petto con la mano e deve estrarsi il cuore. Pronunciando il nome, dal cuore parte un grande fascio di luce blu, con sfumature nere e dettagli rossi. Da lì si forma poi la spada.
    Consuma una grande quantità di energia magica.
    Ha anche una seconda arma nobile, chiamata " La Groundment du Haine ". Con l'aiuto della sua lancia-bandiera e del suo controllo del fuoco, Vad crea dei pilastri di fuoco attorno a lei che si innalzano in altro. Dopodiché, lancia contro l'avversario un'enorme fiammata, ed infine si palesa davanti al nemico e lo colpisce con un fendente della lancia-bandiera.
    « Se devo vivere una vita in ginocchio supplicando per una buona parola in paradiso, preferisco bruciare nel girone più basso dell'inferno vivendo come voglio. »
    biografia
    curiosità e altro
    Ha un drago che si chiama Sephira
    Le piace molto il cibo italiano
    Sa essere sadica quando detesta e odia il nemico
    Definire Vad " atea " è sbagliato. Ella infatti non nega l'esistenza di Dio, ma sceglie deliberatamente di non credervi. Non c'è fede nella sua concezione di Dio, ma odio represso per ciò che egli le ha fatto.

    RAPPORTI CON I PG: Nick: Il rapporto che ha con Nick è forse uno dei più complicati. Si può definire come un qualcosa che va oltre il semplice rapporto tra due amici. Un amicizia oltre l'amicizia, che tuttavia non va a sfociare in amore. Ciò che prova Vad per lui è un po' un rapporto " fraterno ". Tra alti e bassi, i due rimangono amici, anche se nessuno dei due è solito dirlo apertamente.
    Inizialmente, però, il rapporto tra i due era molto più semplice. Soliti amici.
    Si sono conosciuti da ragazzi, quando ancora Vad soffriva di depressione.
    Si sono legati subito dopo davvero poco tempo. In tempo zero, erano già diventati ottimi amici.
    Vad era solita preoccuparsi per lui per il lavoro che svolgeva. Infatti, ad ogni rientro dal lavoro, lei lasciava la cena pronta a casa di Nick cosicché non dovesse preoccuparsi di cucinare.
    Vad ha sempre provato, come con tutti, a nascondere la sua depressione a Nick. Tuttavia, alla fine, Nick scoprì della sua depressione. Provò ad aiutarla, fallendo miseramente.
    Un giorno Nick partì per un'altra missione. Vad preparò la cena come al solito. Tuttavia quel giorno la porta di casa di Nick non si riaprì più.
    Egli sembrava sparito.
    E infatti Nick sparì per 2 anni.
    Quando si reincontrarono, Nick sembrava essere tutt'altra persona.
    Non era più gioioso. Aveva uno sguardo di chi, in una sola vita, aveva già visto abbastanza.
    Inoltre fingeva di non conoscerla.
    Da quel momento, il rapporto dei due cambiò radicalmente e divenne ciò che è adesso.
    Tra i due, al giorno d'oggi, c'è un rapporto d'amore-odio, fondato principalmente sul rispetto e sul lavoro. Anche se, come detto inizialmente, i due sono amici stretti.

    Gintoki Il rapporto che ha con suo marito è il migliore che lei abbia. Da sempre nella sua intera vita lei ha sempre cercato una " ancora " di salvezza per rimanere ancora in vita. Qualcosa ( o qualcuno ) che la rendesse davvero viva, che le facesse venir voglia davvero di vivere e di non lasciarsi morire.
    Per i primi anni di vita fu la religione. Vad riponeva la sua speranza tutta nella religione, che riusciva a tenerla in vita. Dopo l'incontro con il sensei, fu proprio quest'ultimo a prendere il posto del Signore come sua ancora di salvezza.
    In guerra però divenne Gin, ed anche quando i due si separarono e lei giurò d'ammazzarlo egli rimase la sua ancora. C'era qualcosa dentro di lei che non le permetteva d'odiarlo davvero. L'odio era l'unico sentimento di cui lei poteva fidarsi e non aveva mai avuto problemi ad odiare, le era facile. Ma ironicamente con lui non riusciva davvero a farlo. Nel profondo lei era incapace di convincersi che l'odio che aveva nei suoi confronti superasse l'amore che finisce da piccola provava nei suoi confronti.
    Quando si scontrarono e quando la verità uscì fuori, lei ne fu sollevata. L'odio sparì in men che non si dica, era anche lei consapevole che quello non era vero odio ma solo una copertura che si era auto imposta per nascondere l'amore che provava e che da solo poteva ferirla.
    Ora più che mai Gin è la ragione per la quale Vad riesce a vivere serenamente, assieme alla loro famiglia. Senza di lui quel piccolo sorriso che riesce a mostrare probabilmente svanirebbe, ne rimarrebbe solo il ricordo.

    Erza: Seppure le due sembrano odiarsi, hanno un ottimo rapporto d'amicizia e fiducia reciproca.
    Vad ha visto nascere Erza, siccome era amica con Meliodas, e fin da bambina lei ha provato a starle vicino.
    Anche se Erza ha vissuto una buona parte di vita arrangiandosi da sola, alcune volte Vad la aiutava, comportandosi un po' come una mamma per lei.
    Tutto questo perché Vad non voleva che Erza vivesse da sola, senza qualcuno accanto su cui far affidamento. A differenza dei suoi primi anni di vita.
    Perché dovrei parlare di me, adesso? Nessuno è interessato a storie di una ragazza che voleva semplicemente vivere la sua vita.
    Tsk. Sono anche obbligata, adesso? Noioso. Quindi dovrò parlare con te? * Si gratta un attimo la testa e sospira, innervosita * Va bene, tipo. Se non ho altra scelta se non parlare di me, allora lo farò. Non lamentarti, però, se a leggerla ti annoierai semplicemente.
    Questa non è una storia di Guerra. Non è una storia di Servant. Non è una storia di Master.
    E’ la storia di una ragazza che voleva solo vivere la sua vita, e nel farlo è diventata un eroe. Di come, questa ragazza, ha vissuto fino ad adesso.
    Sarà abbastanza lunga la cosa. Perciò vedi di ascoltare bene, perché non mi ripeterò una seconda volta.

    Sono nata ad Edo, da una famiglia non proprio benestante. In questi casi è solito dire “ Non vi erano tanti soldi ma c’era felicità ”. Non è il mio caso.
    La mia famiglia non mi voleva. Già, sono un errore. Dovrebbe essere brutto, tuttavia a me non fa praticamente effetto. Errore o no, sono ugualmente ciò che sono adesso.
    I miei genitori mi odiavano. Mi trattavano come un oggetto. Un sacco da boxe, in cui mio padre scaricava le sue frustrazioni. Mia madre non faceva nulla per fermarlo. Era anche della sua idea.
    Per 5 anni è stato così. 5 anni di inferno, in cui appena mi svegliavo papà mi tirava un pugno in viso, senza preoccuparsi della forza. Se piangevo, ricevevo un altro pugno. Se abbassavo la testa, un calcio.
    - Il fallimento della famiglia deve sorridere anche se sta male. - ripeteva, per poi aggiungere: - Anche se il tuo sorriso mi fa schifo. –
    Lo supplicavo anche per farlo smettere. Ma indovina? Non si fermava mai. Se mi lamentavo, mi tirava un pugno anche più forte. Facevano male, davvero tanto… Tsk-
    A 5 anni mi hanno cacciata di casa. Non volevano nemmeno più la mia presenza nella loro casa. Forse era meglio così per entrambi: loro non mi avrebbero più visto ed io non avrei più visto loro.
    Un particolare che non ti ho detto è che, da quando ho memoria fino ad un determinato momento, sono stata depressa.
    Scommetto che adesso riderai. “ Ma tu lo sei già! ” penserai. Divertente, davvero. Tuttavia mi spiace deluderti, ma non lo sono più. Il mio atteggiamento non è depresso. E’ di chi ha capito come funziona questo mondo del cazzo.
    Ad ogni modo. Sono stata per un anno per le strade di Edo. Vedevo tantissime persone camminare, come se nulla fosse. Nessuno badava a me, una mera orfana tutta sola che vagava tra i vicoli di quella città cercando qualcosa da mettere sotto i denti per arrivare viva al giorno dopo.
    Loro stavano bene, perché dovevano preoccuparsi di una vagabonda che nemmeno era voluta?
    Faceva freddo per le vie di Edo. Gelavo praticamente ogni sera. Qualche volta riuscivo a prendere una copertina dai cassonetti e mi coprivo con quella.
    Ogni giorno mi chiedevo “ Perché a me? Magari me lo merito… Però, che ho fatto per meritarmelo? ”. Alla fine, ero arrivata alla conclusione di essere un fallimento. Se ero in quelle condizioni era semplicemente colpa mia, che non sapevo far assolutamente nulla.
    Alla fine avevo accettato di vivere in quel modo. Aspettavo solo di passar a miglior vita.
    Ma mentre aspettavo inesorabilmente distesa sul marciapiede di una strada quel momento, una persona che mi aveva vista decise di accogliermi tra le sue braccia. Un uomo, Yoshida Shoyo, mi accolse nella sua scuola.
    Prima di me c’era soltanto un altro ragazzino un po’ più grande, Gintoki. Eravamo solo noi due lì dentro, nella Shoka Sonjuku.
    Con il passare del tempo, il sensei accolse anche altri ragazzi. Bambini, come me, che non avevano una casa o un luogo in cui tornare. E tra questi, i miei compagni in guerra e nelle peggiori situazioni. Tsk Non sono amici- E va bene, sono amici. I miei unici amici. Contento, ora?
    * Sospira * Sono 4. Gintoki, Katsura, Takasugi e Sakamoto. Quest’ultimo, però, lo conobbi in guerra. Non era allievo di Shoyo.
    Ci ho passato tanti anni insieme, insieme agli altri bambini e con il Sensei.
    Era arrivata finalmente una gioia, a quanto pare. Tuttavia, quella depressione non voleva proprio lasciarmi andare. Si era quasi affezionata a me, tant’è che non se ne era andata nemmeno quando ho conosciuto tutti loro.
    Ammetto però di aver passato begli anni in quella scuola. Giocavo con gli altri bambini ed i miei amici. Il Sensei ci insegnava ad usare una spada. Ci aveva dato anche tanti bei insegnamenti. Era un bel periodo.
    Eppure, quasi ogni sera, non appena andavo in camera, scoppiavo in lacrime.
    “ Ero per le strade… Perché adesso sono qui? Nemmeno me lo merito... ”. Una delle frasi che, in lacrime, mi ripetevo. Provavo ad asciugarmi le lacrime, per non mostrarle a nessuno. Tentavo a tenere lo sguardo alzato, come diceva mio padre. Ma ogni volta veniva imprigionato al terreno, non avevo la forza per alzarlo.
    Trattenevo, invano, il mio pianto. Potrebbe esser entrato qualcuno, e alla domanda “ Perché piangi? ” non avrei nemmeno saputo rispondere, dato che volevo tenere nascosto quel segreto.
    I giorni passavano come se un bambino li stesse strappando dal calendario uno dopo
    l’altro. Erano veloci a passare, così veloci che nemmeno li ricordavo lì per lì.
    Onestamente, mi divertivo con gli altri e con i miei amici. Mi strappavano qualche risata, qualche sorriso… E generalmente erano sinceri.
    Quella felicità, però, non durò per sempre. A tagliare in due la felicità altrui vi è sempre qualcuno.
    La scuola dove vivevo da anni era stata bruciata. Il nostro Sensei era stato rapito. Tutto questo in così poco tempo, dato che i giorni passavano ancora che nemmeno te ne rendevi conto.
    Ero alquanto distrutta, più di quanto dentro non lo ero già. Non lo davo tanto a notare, detestavo l’idea che qualcuno potesse notare la mia tristezza e la mia “ vera ” me.
    Gli anni passarono senza che me ne rendessi conto. Ne erano passati 6, o forse anche 7.
    A Edo erano arrivati gli Amanto, degli alieni. A molti Samurai il loro arrivo non era per niente gradito, così decisero di ribellarsi. Al loro ribellarsi seguì lo scoppio di una guerra civile chiamata guerra Joi; Samurai ribelli contro gli Amanto.
    Anche noi quattro abbiamo partecipato a questa guerra. Più che per scacciare gli Amanto, avevamo partecipato per riprenderci il nostro Sensei.
    La guerra era durata 10 anni. Durante quel tempo, oltre che soliti combattimenti, abbiamo passato anche qualche bel momento.
    Ricordo bene una serata, in un rifugio come altri. Loro 4 giocavano ad Uno, come solito in quei giorni, mentre io sostavo nella mia amaca a riposare.
    Scambiavamo due chiacchiere tra di noi, qualche idiozia come solito ai quei tempi.
    Tuttavia, qualche chiacchiera era diversa dal solito. Gin aveva esordito così:
    - Ti sentivo parlare da sola nella tua stanza, hai per caso qualche amico immaginario? –
    Inizialmente non capivo cosa volesse intendere con questa frase. Dopodiché ho capito cos’aveva sentito: aveva sentito mentre mi ripetevo qualche frase offensiva, o mi chiedevo perché continuare a vivere in quelle condizioni.
    - Avrai sentito male! – Avevo risposto io, cercando di sviare il discorso per non entrare in argomenti che avrei preferito non riferire a nessuno.
    Gin insisteva su quel punto, buttando qualche battuta com’è classico fare. Io, invece, insistevo sul mio no per non rivelar loro niente.
    - Ne sei sicura? Tra compagni puoi dirci tutto, in fondo sono fatti per questo. Se non ti fidi dei propri compagni in battaglia, loro non si fideranno di te. –
    - Ne sono sicura – Avevo detto, con tono deciso. Avevo anche accennato un sorriso, per cercare di far credere lui che tutto andasse al verso positivo: - Su, tranquilli! Non avevo nulla ieri sera! –
    Il discorso continuava, andando a finire sul ridere con qualche idiozia di Zura o di Gin.
    La partita giunse al termine. Tutti, tranne Gin, erano andati a riposare finché potevano.
    Quella sera toccava a Gin rimettere a posto, tuttavia volevo aiutarlo. Lui rifiutò il mio aiuto, invitandomi ad andare a risposare.
    Alla fine mi aveva convinto ed ero andata nella mia stanza.
    Ricordi quando ti ho detto che ogni sera, in camera mia, scoppiavo in lacrime e mi ripetevo di come non meritavo tutto quello che avevo?
    Quel giorno avevo deciso cosa farne della mia vita. Avevo trovato il metodo per porre fine ad ogni mia sofferenza, e di togliere un peso ai miei compagni.
    Avevo afferrato un coltello e l’avevo guardato per qualche secondo. Mi ero puntata la lama alla gola, cercando di non togliere il sorriso che tenevo sul volto, come a mascherare ciò che in quel momento volevo esprimere.
    Ero pronta a conficcarmelo nella gola. Stringevo l’impugnatura, con le mani che tremavano.
    Avevo un po’ paura, a dire il vero, di compiere quell’atto. Trattenevo le lacrime con ogni forza che avevo, mostrando ancora quel sorriso pensando che fosse l’ultima volta in cui questo avrebbe posato sulle mie labbra.
    Avvicinai il coltello alla gola pian piano. Stavo per farlo… ma qualcuno mi prese dalle mani l’arma e mi tenne ferma; era Gin, che vedendo la scena dalla porta un po’ aperta, era corso nella mia direzione.
    - Che stai facendo?! – Aveva esclamato, con tono serio. Di quelli che su di lui non vedresti, se non in casi rari o eccezioni per confermare la regola.
    Ero spaventata in quel momento. Le mie gambe tremavano come mai avevano fatto prima d’ora per la paura. Non riuscivo a parlare, dalla mia bocca uscivano soltanto delle sillabe balbettanti e stonate. Temevo la sua reazione… temevo ciò che poteva dirmi.
    Avrebbe riso a vedermi in quel modo? O si sarebbe arrabbiato? Forse mi avrebbe insultata, o forse mi avrebbe incitata nel compiere il gesto...
    Tutte quelle probabilità che mi venivano in mente mi intimorivano.
    Lui era ancora davanti a me, non sapevo come rispondere alla domanda che aveva appena rivolto a me.
    - N-N-Niente..! – Balbettai, cercando di fargli credere che non avessi fatto davvero nulla.
    Lui mi guardò. Non era caduto nello stupido inganno che avevo teso lui.
    - Non prendermi per il culo, nanetta! Ho visto cosa stavi per fare! Dimmi subito che ti prende! –
    Sembrava arrabbiato. Questa sua caratteristica spaventava me, un fragile fiore con il gambo piegato sull’orlo di spezzarsi.
    - N-N-Nulla..! D-Davvero, niente..! – Avevo provato a riproporre quella scusa, consapevole sta volta del fallimento. Ma anche in quelle condizioni non avevo intenzione di dir niente a Gin.
    - Nulla?! - Disse lui, ancor più serio: - Volevi piantarti un coltello in gola e vuoi dirmi che non hai nulla?! -
    - H-Hai visto male..! N-N-Non stavo per farlo..! -
    Alla fine mollò la presa, tenendo lontano il coltello per non farmelo riprendere. Mi aveva anche tirato un colpo in testa, accompagnato da un sospiro.
    -Dimmi che ti prende, nanetta. -
    - N-Nulla! - Avevo insistito io, asciugandomi con il dito qualche lacrima che inesorabile era scesa, bagnandomi la guancia.
    Lui mi aveva ritirato un colpo in testa, stavolta più debole.
    -Piuttosto che trovare un modo splendido per finire la propria vita, perché non viverla fino alla fine in modo stupendo? Dimmi cosa ti prende, nanetta. Non devi considerarmi come un compagno ora, ma come un amico. -
    Avevo tentato di alzare lo sguardo. Mi ero mordicchiata il labbro per trattenere le lacrime, ma queste scesero.
    Non ero riuscita a trattenere ancora. Alla fine, ero scoppiata a piangere. Provavo ancora a tenere un sorriso sul volto, come insegnato da mio padre, ma anche a questo stavo per fallire.
    Gin, a vedermi piangere, è rimasto accanto a me.
    Mi aspettavo una pessima reazione. Che addirittura se ne andasse, lasciandomi da sola come speravo.
    E invece era rimasto lì, a braccia aperte. Ad accogliere le mie lacrime, a custodirle, e a darmi dei motivi per mandarmi avanti.
    Era rimasto lì senza alcuna aspettativa, preoccupandosi di una sua amica, quando poteva semplicemente chiudere un occhio e riposarsi come gli altri già facevano.
    Mi ha tenuta con sé per quella sera, stringendomi in un caldo abbraccio così onesto che del genere ce ne sono pochi.
    Anche se io dicevo di andarsene, lui… Lui rimaneva lì, con me, ad abbracciarmi e a ripetermi che sarebbe rimasto ugualmente lì in ogni modo.
    Per quella notte si era anche offerto di tenermi compagnia a dormire, per cercare almeno un minimo di farmi dormire sogni tranquilli.
    Sai, lettore… Quel giorno fu uno dei pochi - per quel periodo - che ricordo in cui mi sono sentita quasi bene.
    Avere qualcuno al proprio fianco mi aveva reso quasi contenta…
    Mi aveva dato la sensazione di farcela. Forse qualcosa me lo meritavo. Forse un motivo per andare avanti lo avevo.
    Erano tutte supposizioni. A quel tempo non sapevo se fossero giuste o sbagliate, ma a me andava bene anche così.
    Anche un debole miraggio, per me, era un traguardo. Un debole miraggio di una bella sensazione… a me andava bene.
    Così quel giorno era finito, tra le coperte di un futon e con accanto qualcuno che mi era stato vicino. Con un mio compagno, con un mio amico.
    E per la prima volta, con un accenno di sorriso sulle labbra sincero, e non più finto.
    Per quella notte ero senza la maschera che solitamente mi rendeva forte. Ero scoperta, fragile. Ma in sua presenza a me andava bene essere in quel modo, perché era stato lui stesso a togliermi quella maschera per quella sera non delle migliori.
    La mattina dopo ci svegliammo insieme. Lui non aveva dormito quella sera, come tante altre sere precedenti.
    Avevamo raggiunto gli altri, che a vederci scendere insieme erano rimasto sopresi con qualche idea in mente. Qualcuna venne detta, come a prenderci in giro amichevolmente come tante altre volte.
    Ma non avevamo fatto in tempo a rilassarci che ecco un superstite, uno dei nostri alleati, con notizie tutt’altro che bello.
    Eravamo rimasti solo noi contro gli Amanto. Solo noi 5.
    Ormai il tasso di vittoria da parte nostra era diminuito terribilmente, portando le nostre probabilità al minimo. Nonostante questo, non avevamo intenzione di arrenderci.
    Afferrate le spade e messi in difesa, eravamo pronti ad accogliere a nostro modo i nemici. Questi arrivarono, e non in pochi erano. Tutt’altro.
    Avevamo combattuto con tutta la nostra forza e il nostro orgoglio. Ma questo non bastava, perché per quanti nemici abbattevamo altri correvano incontro.
    Alla fine, alcuni ci legarono. Ci avevano catturato e portati con loro. C’eravamo tutti noi, ne mancava soltanto uno: Gin.
    Pensavo che non si fosse fatto catturare, ma quel pensiero era svanito quando alla mente mi era tornata l’immagine in cui pur lui si era fatto legare.
    E allora dov’era? Che l’avessero già giustiziato?
    I miei dubbi furono assolti quando lo vidi arrivare assieme a dei nemici. Questi lo spingevano per farlo camminare, in modo tale che non cambiasse tragitto.
    In mano aveva una katana. E davanti a noi, oltre lui, c’era il Sensei Shoyo legato.
    Gin era vicino lui, e poggiava la lama sul suo collo.
    Shoyo doveva essere giustiziato, e l’esecutore era proprio il suo primo allievo.
    Ero rimasta zitta, quel giorno, mentre guardavo la lama del mio migliore amico tagliare il collo di chi mi aveva accolto come se fosse un padre.
    Seppure la mia bocca non emetteva suono, dentro non ero di certo in silenzio. Ero furiosa, oltre che delusa. Lui mi aveva aiutato la serata prima… Ed allora perché aveva tagliato il collo del mio Sensei? Seppure io cercasi di trovare una risposta razionale, quel giorno la rabbia e l'odio superarono la ragione. Mi ripromisi dunque di ucciderlo, se mai da quel momento l'avessi rivisto.
    Non rividi più i miei compagni da quel giorno. Le nostre strade si separarono.
    C’è una cosa che non ti ho detto accaduta proprio durante la guerra. Mi ero messa insieme ad un uomo, Zukyama. Inizialmente eravamo una coppia come tante altre, tuttavia, andando avanti con il tempo, quella relazione era tutto fuorché normale.
    Lui era tutt’altro che gentile. Era pessimo, con il tempo ho cominciato ad odiarlo. Ma non ci eravamo ancora lasciati.
    Prima di farlo, però, quello stronzo mi mise incinta. Non ero nemmeno consenziente, quella volta era stata orribile.
    Come se non bastasse, non potevo nemmeno abortire. Lui me lo aveva impedito, ed io non potevo far niente per andargli contro. Odio anche me stessa, per non essermi ribellata a lui.
    Così ho messo al mondo due bambini, gemelli: Damix e Miruko. Mi sono occupata di loro io, anche se quello era un periodo del cazzo. Quello stronzo del padre non ha fatto nulla per loro, seppure lui soltanto li volesse.
    Ad ogni modo, dopo questo ci siamo separati.
    So che vorresti che la mia storia sia già finita, tuttavia è ancora appena iniziata.
    Vi sono altri capitoli d’aprire, che riguardano me ed altre persone.
    Con il passare del tempo, sono entrata a far parte della CCG, un’associazione che difendeva Tokyo dai Ghoul. Penso tu sappia cosa siano, ma per sicurezza te lo dirò: sono degli esseri uguali d’aspetto in tutto e per tutto agli umani, se non per il fatto che mangiano umani. Un po’ come i demoni mangiaumani, che hai già sentito da quell’idiota di Erza che prima di me ha raccontato la sua storia.
    In poco tempo sono anche diventata direttrice di quell’associazione. Ho conosciuto vari colleghi ed anche molti nemici.
    Ho anche avuto un incontro bizzarro con una persona, una mia attuale conoscente. No, non è mia amica. Non insistere, non lo è. * Sospira * E va bene, è mia amica. Sophie Vlaud, penso tu la conosca già.
    Ti racconterò di quest’incontro, siccome ormai devo dir tutto per forza.
    Ero andata in missione, a caccia di un Ghoul, proprio Sophie. L’avevo trovata facilmente ed ero pronta ad attaccare, tenendo l’arma ben impugnata.
    Sorprendentemente, lei non aveva attaccato. Si era consegnata da sola, senza far storie o altro. Il che mi lasciava spiazzata, pensando che avesse un piano in mente.
    L’avevo catturata e mi ero assicurata di tenerla io, cosicché nessun altro agente entrasse in quella cella.
    Portata in cella, l’avevo interrogata. Non voleva parlare, ma alla fine lo fece ugualmente.
    Rivelò il motivo per la quale si era fatta consegnare: suo padre.
    Suo padre era uno dei Ghoul più importanti, che aveva come obiettivo l’eliminarmi. Così si era messo insieme ad una donna ed aveva concepito Sophie, per usarla come una “macchina da guerra” per abbattermi. Ma lei era stanca di quella vita, così aveva deciso di scappare di casa e farsi consegnare per non eseguire il desiderio del padre.
    A quel tempo avevo provato compassione per lei. Ero anche disposta a farla scappare, offrendo lei sicurezza e cibo, perché confidavo in lei sul fatto che non avrebbe ferito nessuno.
    E così fu. L’avevo liberata senza farmi sgamare da nessuno. Con il tempo diventammo amiche, e lo siamo tutt’oggi. Alla fine avevo riposto bene le mie speranze.
    Sempre in quel periodo ho conosciuto una persona molto importante per me. Sì, anche questo un amico, se te lo stessi chiedendo. Nick Valentine, penso tu conosca anche lui.
    Era a Tokyo per lavoro, dato che la FOX – l’organizzazione per la quale lavorava – aveva ordinato lui di fornire supporto alla CCG.
    Oltre che collaboratori soltanto, eravamo diventati amici. Stavamo anche del tempo insieme. Io ero solita preparargli la cena, siccome lui non sapeva cucinare per nulla al mondo. Era così bello passare del tempo insieme. Era praticamente diventato il mio migliore amico in pochissimo tempo.
    I giorni continuavano a scorrere impazienti, con la fretta d’un ragazzino, fino ad arrivare ad una sera come altre.
    Avevo preparato la cena anche quella volta per Nick. Un piatto di pasta, che a lui piaceva tanto, condito del semplice pomodoro.
    La lancetta segnava le 19. A quell’orario doveva essere già tornato per mangiare. Tuttavia la porta era rimasta chiusa.
    “Avrà ancora altro da fare” Mi ero detta. “Aspetterò”.
    Le 20. Le 21. Le 22. Continuavano a passare le ore come chiamate al lotto. Ma nessuna faceva un terno; la porta rimaneva chiusa.
    Avevo preso il piatto e l’avevo riposto in microonde. Alla chiamata di un altro numero ero già andata via, a casa mia, a dormire.
    Anche il giorno seguente quella casa era vuota. I giorni a venire confermarono: Se n’era andato senza avvisare, senza lasciare nulla.
    Mi chiedevo perché di quella scelta, con le labbra curvate all’ingiù in un espressione triste che non avevo intenzione di togliermi dal viso. Dovetti aspettare 20 anni per vederlo, e non era nemmeno più come lo avevo conosciuto. Ma in 20 anni sono anche successe altre cose, perciò andiamo con ordine.
    C’è una cosa successa in questi 20 anni. La peggiore che sia accaduta, dopo tutto questo.
    Sicuramente tu mi conoscerai per essere una delle Ruler più importanti. O mi avrai conosciuto dopo che lo ero diventata. Ti sei mai chiesto, però, come sono morta?
    Te lo dirò io. E ti assicuro che non sarà una di quelle morti da eroe che ti aspetti, o una morte valorosa. Era squallida, terribile.
    Hai mai sentito parlare di un uomo, Name? Lui era uno dei miei più cari amici, quand’ero ancora in vita. Era, perché oggi siamo tutt’altro che amici per ciò che lui mi ha fatto.
    E’ stato lui ad ammazzarmi. “Eravate amici, perché l’ha fatto?” starai pensando.
    A quanto pare, il suo scopo era proprio quello di ammazzarmi dopo aver acquistato la mia fiducia.
    Ricordo quel giorno fin troppo bene, seppure io voglia soltanto dimenticarlo senza ricordarlo. Avevamo combattuto duramente, ma lui era troppo forte anche per me. Così forte da costringermi a terra, ferita, con una spada che mi punta alla gola.
    Lui pronunciava qualche parola che io nemmeno volevo ascoltare. Volevo solo chiudere gli occhi, farla finita il prima possibile, piuttosto che vedere ancora il suo viso soddisfatto dell’impresa.
    Mi disgustava il solo guardarlo. Detestavo averlo davanti, ma non potevo fare nient’altro. Ero piena zeppa di sangue, che colava da ogni ferita aperta ed anche dalla bocca.
    Gli occhi erano un po’ socchiusi, ché faticavano a rimanere aperti data la debolezza.
    Ma nonostante questo non ero spaventata. Avevo sempre pensato che la morte fosse qualcosa di tragico… Eppure, in quel momento, non provavo paura.
    Non temevo Name. Non volevo nemmeno più afferrare la spada per combatterlo. E per quanto fossi disgustata nel vedere il suo sorriso, volevo rialzarmi per andargli incontro e ringraziarlo… Ringraziarlo di avermi ammazzata.
    La morte si è sempre vista come un punto di fine, invece per me era un punto di inizio.
    Un inizio di una nuova vita. Una vita in cui avrei dimenticato il dolore subito in quella.
    In cui avrei poggiato il peso che portavo sulle spalle per sempre. Una vita in cui avrei dimenticato chi da tempo mi aveva abbandonato senza avvisare. In cui avrei dimenticato il peso di una sconfitta… Volevo semplicemente andarmene, anche se non avevo ringraziato chi quella vita aveva provato a farmela vivere come un dolce sogno.
    Avevo chiuso gli occhi, avevo accennato un sorriso, e lui mi strappò dal corpo il cuore.
    Speravo di non tornare mai più in questo mondo con questo corpo. E se dovevo tornarci, avrei preferito un corpo diverso. Una vita diversa, baciata dalla fortuna e adagiata dal resto… E invece il destino fu ancora terribile con me. Perché quando riaprì gli occhi dopo la mia morte, ero ancora in quel corpo che tanto detestavo. Ero ancora qui, con i miei fardelli alle spalle, con il compito d’ubbidire ciecamente a colui che mi aveva uccisa.
    Ero un Servant. Ad ogni mia morte, sarei tornata in vita prima o poi…
    Era una maledizione che non potevo spezzare in alcun modo, con la quale dovevo conviverci.
    Ma non finì quel giorno la crudeltà che la vita aveva riposto me, come se non ne avesse abbastanza di torturarmi giorno dopo giorno.
    Name mi aveva invocata per godersi un altro spettacolo. Mi diede una spada e mi diede un ordine. Da lui ero obbligata nell’ammazzare i miei amici, nell’eseguire ogni suo capriccio.
    Non potevo nemmeno ribellarmi a lui. Ci ho provato, a volte, ed ho fallito soltanto. Non riuscivo a batterlo. Lui mi aveva anche mozzato una gamba ed un braccio, una volta. Ed io fui costretta ad avere delle protesi, degli Auto-Mail.
    Furono anni infernali, forse anche peggiori del periodo della guerra Joi. Accanto non avevo nessuno, potevo soltanto affidarmi a me stessa e alla mia spada. Potevo soltanto
    pregare che tutto finisse, con le lacrime che trattenevo per non mostrare debolezza.
    Ogni mia preghiera sembrava essere assolta dal vento, senza mai raggiungere destinazione. Ignorata, trasportata come fosse un miraggio ancora lontano.
    Ma qualcuna venne presa sul serio, ed oltre che cavalcare la brezza come le sue compagne, venne ascoltata dal vento. E così, un giorno, qualcuno rubò gli incantesimi di comando del mio Master. Fu Shirou a farlo.
    Non ti ho parlato di lui. Beh, in poche parole, Name aveva deciso di divertirsi anche ad ammazzare lui. Ma non contento, l’aveva fatto tornare sotto mia richiesta. E collegò la sua vita alla mia.
    In parole povere, se io fossi morta, dopo pochi giorni lo avrebbe fatto anche Shirou.
    Tutt’ora, il mio Master è proprio lui. Fortunatamente.
    Tuttavia, anche dopo che le cose con Name si risolsero, io continuavo a voler soltanto sparire. Morire del tutto, senza tornare una seconda volta. Per non ferire chi avevo intorno, mi illudevo che tutto potesse andare bene.
    Fingevo di vivere la vita migliore al mondo, ma non era così. Per quanto potessi illudermi, gli altri erano semplicemente loro stessi. E l’essere loro stessi distruggeva quel finto mondo in cui vivevo. Distruggeva anche me, che vivevo lì per paura della realtà.
    Ti ricordi di Nick? Spero proprio di sì. Ebbene, dopo che tutto fu sistemato, lo ritrovai.
    Sembrava non ricordarsi di me. Era completamente diverso da come lo avevo conosciuto. Ripeteva soltanto che la persona che conoscevo io era morta in una missione.
    Questo mi distruggeva. Il suo essere sé stesso mi distruggeva, come ho detto poco prima. Ma sapevo che, per quanto volesse nascondersi, era rimasto in fondo il solito.
    Sono successe tante altre cose. Ho anche conosciuto Meliodas e quelli al Boar Hat, penso tu sappia di chi parlo. Onestamente non ricordo il com’era successo, fatto sta che legai subito con loro. Mi ero affezionata, tant’è che ho anche combattuto al loro fianco a volte. Sono stata con loro per tanto tempo, tant’è che mi ero trasferita lì a Lyonesse, siccome a Tokyo non avevo più niente.
    Ho anche visto nascere Erza, la conoscerai sicuramente, e i suoi fratelli. Le sono stata accanto quand’era bambina, dato che Meliodas ed Elizabeth non erano i migliori genitori al mondo. Non volevo che anche lei subisse un’infanzia senza nessuno accanto, così le sono stata vicino finché potevo. A lei sembrava piacere stare in mia compagnia. Tsk, a me non piaceva… No, davvero. Non era niente di speciale. Va bene, piaceva anche me lo stare insieme a lei.
    Mi ci ero affezionata, e sentirla chiamarmi zia era bello. Contento? Tsk.
    Passiamo ad altro, piuttosto.. Smettila, non sono imbarazzata. Ti stavo dicendo.
    Oltre quello, ho anche re-incontrato Gin, non nel migliore dei modi.
    Se devo dirla tutta, ci siamo quasi ammazzati al nostro rincontro. Mi ero ripromessa di ammazzarlo, se lo avessi rivisto, dopo ciò che aveva fatto.
    Mi aveva tolto la mia unica figura paterna che avevo mai avuto in vita mia, senza esitare all’ordine. Aveva promesso di riprendere il Sensei, eppure aveva infranto quella promessa.
    Ci siamo sfidati, ci siamo conciati per le feste direi. Ma proprio in quel momento egli mi rivelò la verità sul perché l’aveva fatto; aveva fatto una promessa con lui, quella di proteggerci ad ogni costo. E tra scegliere lui e noi, ha scelto noi. Così ha eseguito quell’ordine senza contestare, anche se facendolo ha ferito anche sé stesso ed ha infranto una promessa, vedendo il suo gruppo sciogliersi.
    Mi ero sentita sciocca, in quel momento. Una completa idiota, che agiva senza pensare o senza sapere. Avevo chiesto scusa, mentre il sangue scorreva dalle ferite aperte dal combattimento appena finito. Lui mi perdonò facilmente, mi abbracciò anche.
    Fino a quel momento ero una ragazzina all’apparenza spensierata come tante altre. Quelle che sorridono per ogni cosa e che ridono facilmente, anche solo a salutare.
    Le classiche fastidiose. Come Erza.
    Tuttavia, tu mi conosci probabilmente anche per il mio comportamento distaccato. Ti starai chiedendo come sono cambiata.
    Onestamente, non lo ricordo nemmeno io il motivo preciso. Sapevo soltanto che ormai era abbastanza: vivere in quel mondo di rose e fiori in cui mi chiudevo per paura dell’esterno era diventato ormai troppo pesante. Rompere quell’illusione era diventato troppo facile. Ogni parola non calcolata mi feriva, ogni volta che vedevo com’era realmente il mondo cadevo a terra, in ginocchio. Sapevo di poter perdere tutto da un momento all’altro, tuttavia… Tuttavia ignoravo semplicemente questo.
    Vivere in un sogno adagiato forse può sembrare qualcosa di fantastico. Ma quando fai un sogno meraviglioso, la sensazione che avrai sempre sarà quella di tristezza, perché ricorderai che quello era solo frutto della tua immaginazione.
    E per quanto tu voglia scappare dai problemi, non potrai per sempre.
    Per quanto mi ingannassi sul riuscirci per sempre, ad evitare le difficoltà che avevo, sapevo fin dal primo momento che quella era soltanto una dolce bugia che mi raccontavo per far sì che tutto andasse bene.
    Ero stanca di correre. Le mie gambe ormai volevano soltanto cedere. L’unica possibilità che avevo era voltarmi e combattere contro il mio stesso destino.
    E così feci: abbandonai quel mondo in cui mi chiudevo. Prima un piede, tremante e impaurito che sperava di rientrare. Preso del coraggio, anche il secondo piede scavalcò il recinto.
    Avevo fatto bene? E se davanti a me avessi soltanto inferno, una strada frastagliata e distrutta? E se non fosse stata quella la scelta giusta? E se…
    Mi andava bene così. Potevo perdere tutto una seconda volta. Potevo diventare la peggior persona sulla faccia della terra. Ma avrei combattuto per me stessa. Sarei andata avanti per me stessa, senza farmi mettere i piedi in testa da nessun’altro. Nemmeno dal destino, che già aveva tirato le corde per un nuovo spettacolo di burattini la cui protagonista ero io per troppo tempo.
    Combattere per me stessa… Era quello il mio bushidō, che con il tempo avevo trovato.
    Mi chiedo se il Sensei sia orgoglioso di me, per ciò che sono diventata. Probabilmente non si aspettava una cosa simile.
    C’è una cosa che non ti ho detto prima. Prima di cambiare, infatti, ho partecipato ad una Guerra del Santo Graal. Sono riuscita a vincere, se devo dirla tutto è stato anche abbastanza facile. Al Graal Maggiore ho esaudito un desiderio importante nella storia: “ Che i Servant non siano più oggetti, e che i famigli possano vivere come normali persone. E che questi possano decidere di partecipare alla guerra per averti! ”.
    Un desiderio nobile, che tutt’i Servant lodavano e lodano tutt’ora, spinto da una stupida richiesta egoista, com’ero e come sono io.
    Con il passare del tempo, mi ero anche trasferita a Clover, seguendo Erza. Lì ho conosciuto un ragazzino, Yuno, insieme ad un suo amico, Asta.
    Avevo legato con Yuno, tant’è che divenni anche sua Maestra. E grazie a lui conobbi l’esistenza dei Cavalieri Magici. Mi feci spiegare qualcosina da lui, poi decisi di entrarvi. L’Alba Dorata, guidata da Vangeance, mi accolse. Ed oltre che con Yuno, legai anche con quest’ultimo in davvero poco tempo. Prima che me ne accorsi, già ero finita con l’ammirarlo: aveva creato una compagnia per ripagare il suo Maestro, l’attuale Imperatore Magico, e l’aveva fatta diventare la migliore di tutta Clover.
    In qualche mese nemmeno, ero diventata il secondo Vicecomandante dell’Alba Dorata, assieme al mio allievo. E nemmeno a chiudere gli occhi, ch’ero io a comandare.
    Era successo tutto così tanto in fretta che non me ne ero nemmeno resa conto
    Erano dei tempi di completa pace, a Clover e per tutti i miei compagni. Star lì con loro era diventato qualcosa di unico. E per quanto lo nascondessi e non mi aprissi con praticamente nessuno, ogni giorno ero contenta di essere in mezzo a loro.
    Quando io ero entrata nei Cavalieri Magici, anche Erza era in mezzo a loro. Scelta dalla compagnia del Toro Nero, anche lei in pochi mesi divenne Comandante. E in altro poco tempo ancora, eccola che era diventata Imperatrice Magica. Dovevo stare sotto i suoi ordini.
    No, non ero felice per lei, tutt’altro. Davvero, non ero felice. Va bene, va bene; lo ero. Contento? Alla fine, mi rendeva davvero felice il fatto che era arrivata in cima in poco tempo. Tsk... Per quanto io dica di non sopportarla, sono felice ed orgogliosa di com’è cresciuta. E vederla arrivare in cima mi fa sorridere, sotto-sotto.
    Era piccola-piccola quando l’ho vista per la prima volta. Cresceva senza che me ne rendessi conto, ma ogni volta era la stessa storia; voleva salirmi in braccio, dar fastidio come solo una bambina può, perché tra le mie braccia era comoda.
    Mi tirava un po’ i capelli, giocandoci come una mocciosa.
    Cresceva, cresceva e cresceva. Una bambina, una ragazzina e poi un’adulta. Tutto sotto i miei occhi, sotto gli occhi di una che voleva soltanto aiutare una mocciosa per farle vivere una buona infanzia.
    Ero io a dirle cosa non doveva fare, per evitare che si facesse male. La rimproveravo in assenza di Elizabeth.
    Ora però i ruoli si erano invertiti: era lei che controllava me, dalla cima dei suoi ottimi risultati e delle sue stelle. Tsk… Cambiando argomento.
    Mi ero anche risposata, in quei tempi, con Gintoki. Ho avuto anche due figlie con lui: Yuria ed Otsu.
    Quella che ti ho detto prima non fu l’unica Guerra del Santo Graal a cui partecipai.
    Ne seguirono altre, ed una di queste è la più importante.
    Fu a squadre, 2 da 7 Servant ciascuna. Non potendo partecipare, dovevo limitarmi a supervisionarla in quanto Ruler.
    La squadra Rossa era formata da Achille come Rider, Karna come Lancer, Semiramide come Assassin, Atalanta come Archer, Ercole come Berserker, Shakespeare come Caster, Mordred come Saber e dai rispettivi Master.
    La squadra nera, invece, era formata da Astolfo come Rider, Cù Chullain come Lancer, Jack the Ripper come Assassin, Chirone come Archer, Erza come Berserker, Avicebron come Caster, Arthuria come Saber e dai rispettivi Master. Come Master della squadra nera c’era anche Yuria.
    Probabilmente ti starai chiedendo per quale motivo ti sto parlando nel dettaglio di questa guerra, se il mio unico scopo era quello di supervisionare. Beh, per quanto volessi soltanto guardare, dovetti partecipare ugualmente per sconfiggere il Reverendo, uno dei Master della squadra rossa.
    “E perché?” ti starai chiedendo. Semplicemente, perché quello non era soltanto un semplice Reverendo; era un Ruler, Amakusa Shirou Tokisada, con un desiderio che non potevo assolutamente tollerare.
    Desiderava infatti riportare il tutto come un tempo. Voleva annullare il desiderio che prima ti avevo detto che avevo esaudito tempo fa, riportando i Servant come meri oggetti e servi.
    Dopo aver scoperto questo, ne parlai con la squadra rossa. Tuttavia, tutti sembravano concordare con Shirou. Tutti tranne Saber rosso, Mordred, che decise di lasciare la sua squadra assieme al suo Master. Più alleati per la squadra nera, che aveva già perso il Caster nel giro di poco dall’inizio della guerra per una attacco dei rossi.
    Assieme escogitammo un piano per attaccare la squadra avversaria, riferendoci ogni informazione che avevamo in possesso. Ci furono anche battibecchi e delle faide all’interno di noi, a causa del Caster rosso.
    Erza non te ne aveva parlato, immagino. Ed io non ho intenzione di descrivere al posto suo. Ma ti basti sapere che Shakespeare aveva controllato Zeref, il Master di Erza, e lo aveva usato per attaccare. Berserker lo aveva fermato ed aveva ucciso Caster, tuttavia nessuno più si fidava di Zeref.
    Ad ogni modo, avevamo pensato ad un piano. La base nemica era una base volante, nonché Arma Nobile dell’Assassin. Così avevamo deciso di attaccare questa con degli aerei guidati autonomamente con dell’energia magica. Zeref avrebbe prestato la sua per la riuscita del piano. I Master, escluso Aki, sarebbero rimasti all’aeroporto, mentre i Servant sarebbero saliti sugli aerei, compresa me.
    E così fu. Avevamo anche già deciso gli scontri: Chirone contro Achille, Aki ed Erza contro Karna, Mordred contro Semiramide ed infine me contro Amakusa Shirou Tokisada.
    Anche Yuria doveva essere impegnata in uno scontro, ma non sarebbe salita su un aereo. Era contro Berserker, egli era a terra assieme alla sua Master Illyasviel.
    Prima di salire sugli aerei, parlai con Yuria. Se devo essere sincera, ero preoccupata per lei. Era uno dei suoi primi combattimenti, era ancora inesperta.
    Tuttavia mi fidavo di lei. E’ pur sempre figlia di due che in battaglia se la cavano egregiamente. Le parlai e le diedi due miei incantesimi di comando, cosicché – se la situazione diventasse critica – avrebbe potuto chiamarmi. Fortunatamente non ce ne fu bisogno, dato che non mi chiamò.
    Così, con gli aerei, eravamo partiti. Ed io arrivai dove il Ruler nemico era.
    Combattei contro di lui per un bel po’. Cercavo di tenergli testa, tuttavia era troppo forte per me. Ingenuamente, non usai la mia Arma Nobile. Forse fu proprio la mia ingenuità a dar vantaggio ad Amakusa.
    Lui mi aveva battuto, seppure avesse subito anche lui dei colpi da parte mia.
    Stava per dirigersi all’interno del Graal Maggiore per esaudire il suo desiderio.
    Io ero a terra, che provavo in ogni modo a rialzarmi senza alcun successo.
    Gli dissi di fermarsi, ma lui non mi voleva ascoltare. Afferrai la spada che era a terra vicino a me, provando in ogni modo ad alzarmi da terra. Ma non c’era verso; il pavimento sembrava tenermi prigioniera con delle catene, come a non volermi lasciare mai più.
    Strinsi l’elsa e a stesso modo i denti. Urlai di nuovo di fermarsi. Lui si era fermato e si era girato verso di me. Attimo di silenzio, poi una voce flebile a seguire il grido. Debole, tremolante, come se stessi piangendo. Era così, non potevo far altro se non piangere.
    “ Non rovinare il mio desiderio… Ti scongiuro… ”
    Ero scoppiata in lacrime, in un pianto disperato, come a chieder pietà. Mi ero abbassata a quel livello… Provavo soltanto odio in quel momento; odiavo me stessa. Shirou era lì, vincente, che stava per esaudire il suo desiderio. Ed era lì perché era stato abbastanza forte da mandarmi a terra.
    Io invece ero al terreno, che non potevo far altro che chiedere strisciando della compassione da parte dell’avversario…
    Ero debole… Talmente debole da non poter far nulla, da vedere il mio sogno che avevo esaudito sparire nel nulla. Infrangersi davanti a me, senza che io potessi riattaccarne i pezzi per ricomporlo, forse pasticciato come farebbe un bambino per riaggiustare un vecchio giocattolo.
    Le mie gambe a malapena mi reggevano in piedi. Se provavo a rialzarmi e a muovermi, quelle cedevano. Tant’era meglio rimanere ferma, perché in quelle condizioni non avrei potuto far altro.
    Le lacrime cadevano inarrestabili, bagnavano il pavimento a formare una macchia. Il cuore tremava, impaurito e arrabbiato. Ed io ad incolparmi… mi facevo pena da sola…
    - Chiedere pietà non ti salverà. Ma apprezzo il come hai cercato di fermarmi in ogni modo. - Disse lui, riprendendo a camminare e rigirandosi. - Ho vinto, Ruler. -.
    Tesi la mano nella sua direzione, come se a far quel movimento avrei potuto fermarlo, ma non bastò. Lui entrò nel Graal, e poco dopo ecco esaudito il suo desiderio.
    Mi rialzai, facendomi da bastone con la spada. Guardavo l’oggetto dei sogni mestamente, stringendo l’elsa come mai avevo fatto prima d’ora. Non per dolore, per rabbia e per delusione.
    Come l’avrei detto alla mia squadra? Come avrei trovato il coraggio di dir loro la nostra sconfitta? Probabilmente mi avrebbero odiata tutti quanti… Ma avrebbero avuto ragione loro. In fondo, era solo colpa mia se avevamo perso.
    Solo e unicamente colpa mia…
    Zoppicando, raggiunsi gli altri della squadra nera. Prima Erza, seguita da Aki.
    - Eccoti! - Esclamò felice lei. - Abbiamo vinto? - Chiese, tutta allegra.
    Sorrideva come mai. Guardavo quel sorriso con qualche lacrima che scendeva dagli occhi, per quanto tentassi di tenerle ferme. Avrei distrutto la sua serenità con una sola frase, ma era quello ciò che dovevo fare.
    - No… Abbiamo perso… -
    Rimase zitta un attimo. Teneva comunque il sorriso sulle labbra, ma un’espressione sorpresa, come incredula.
    - E’ uno scherzo, vero? – Chiese lei, come a tirarmi fuori un sì. Ma notando la mia espressione tutt’altro che scherzosa, capì la situazione. Le sue labbra curvarono all’ingiù, seguite da quelle del figlio.
    Arrivarono anche gli altri, sentendo la notizia.
    - Doveva andare così… Alla fine, noi Servant siamo degli oggetti… No..? – Parlai io, accennando un sorriso per autoconvincermi. Ma non rimase per troppo. Dopo qualche attimo era già sparito, e le lacrime erano tornate. – No… Non lo siamo… - Dissi, così basso che sembrava un sussurro.
    Tornammo alla base della nostra squadra, casa del mio Master. Annunciai la notizia a tutti. Non c’erano solo i Master, ma anche le famiglie di questi e dei Servant. Tra questi, c’era anche Gin.
    Tutti erano preoccupati. Ogni famiglia ed ogni Master consolava il proprio Servant.
    Io mi limitavo a stare sul divano, sdraiata a causa delle mie ferite, in silenzio. Non volevo che nessuno si avvicinasse a me, perché ero ancora in conflitto con me stessa, occupata ad odiarmi e a vergognarmi per la sconfitta subita.
    Tuttavia, qualcuno si avvicinò comunque. Era Gin. Mi chiamava, per farmi girare, ma io non volevo proprio ascoltarlo. Alla fine, all’ennesimo richiamo, mi girai verso di lui.
    Mi parlò un po’. Io mi limitavo a dar risposte brevi, come se volessi liquidare il discorso. Ma lui insisteva comunque, non voleva mandare all’aria quel discorso.
    Alla fine, fu meglio così. Perché fu proprio parlando con lui che decisi di mettere da parte l’odio che provavo per me stessa per riprendermi ciò che tempo fa avevo desiderato.
    Avrei aspettato del tempo in modo tale che il Graal potesse esaudire un altro desiderio, e sarei tornata lì. Avrei battuto Shirou, finalmente, ed avrei avverato per la seconda volta in mio sogno.
    Non potevo però tornare da sola. E un’altra che voleva a tutti i costi riportare la realtà che fino a prima aveva vissuto era Erza.
    Il tempo passò. Il Graal poteva accogliere un’altra ambizione. Ed io ed Erza eravamo pronte per attaccare. Così fu: ci scontrammo contro Shirou, che ci diede del filo da torcere seppure fossimo in due. Ma quella volta decisi di non contenermi, di usare anche a mia arma più forte: la mia Arma Nobile. Con questa, potenziata da del Mana donato dal Berserker, lo sconfiggemmo. Sta volta i ruoli si erano invertiti, e quella a restare in piedi ero io, mentre lui poteva soltanto stare a terra. Entrai nel Graal, e ciò che volevo tornò a essere la normale realtà. E finalmente uscimmo come vincitori. Squadra nera come vincitrice.
    Probabilmente penserai che la mia storia possa concludersi qui. Ma non è così. La mia vita non è quasi mai stata tranquilla, e dopo un grande evento ne è sempre seguito uno ancora più importante.
    E anche questo è il caso. Mesi dopo di serenità, mi ritrovavo in una locanda in una cittadina vicino Edo assieme a Gin, Zura, Takasugi e Sakamoto. Una semplice giornata come tante altre, poteva essere questa l’impressione di chiunque di noi 5.
    Zura ci parlò di ciò che lo preoccupava, che lo aveva spinto a invitarci lì: il nuovo Shogun.
    Per lui era un problema, per i precedenti tutt’altro che buoni che questo aveva. E nemmeno a parlar del Diavolo, che ecco che proprio lui entrò dov’eravamo noi.
    Esordì in modo fastidioso, chiamando con tono disprezzante i clienti, andando poi a sedersi ad un tavolo accompagnato da alcune cameriere.
    Ordinò “il miglior Sakè disponibile”, e le cameriere eseguirono il suddetto ordine. Portarono lui un Sakè pregiato, che lo scorso Shogun apprezzava davvero tanto. Lo sorseggiò, ma non gli piaceva per niente.
    - Che cos’è questa schifezza?! – Esclamò, infastidito. Le cameriere, poverine, chiesero subito scusa.
    - Sbarazzatevene – Pronunciò. Loro presero il Sakè, con l’intenzione di portarlo via. Ma degli uomini attaccarono le cameriere, con l’intenzione di ammazzarle. – Non intendevo il Sakè – Si corresse, con tono di chi crede di esser chissà chi.
    Gin, innervosito dall’atteggiamento dello Shogun, gli tirò un pugno al naso. A far quel gesto ci aveva messo tutti e 5 nei guai. Fortunatamente, riuscimmo ad andarcene sani e salvi.
    Eravamo praticamente diventati ricercati in quella cittadina. Tuttavia non ci eravamo fermati lì. Qualche giorno dopo, ci re-incontrammo tutti e cinque per escogitare un modo per togliere di mezzo quello Shogun, che per quel Paese sarebbe stato solo un problema.
    Il piano era semplice: creare un diversivo con un esplosivo attaccato al muro esterno della stanza dello Shogun, facendo credere loro che l’attacco era in quella direzione. E nel mentre noi ci infiltreremo nello Shogunato, indossando delle divise per camuffarci come loro alleati, e alle spalle pugnalarli.
    Per quanto avessi insistito sulla creazione di un piano B, nessuno volle ascoltarmi. Avremmo attuato il piano la mattina dopo, cosicché avessimo del tempo per riposarci.
    Io e Gin dormimmo in strada, dato che non avevamo altro luogo dove accamparci. Quella sera, feci una promessa a Gin. Lui stesso mi chiede di farla: se lui fosse morto, io avrei avuto il compito di tenere unito il gruppo e di difendere i miei compagni. A qualsiasi costo. Stringemmo i mignoli per concludere la promessa, e la notte passò. Procedemmo con il piano.
    La bomba esplose allo scadere del timer, sembrava andare tutto bene… Se non fosse stato per Zura.
    Zura è un completo idiota. Ad ogni aggettivo o nomignolo affibbiatogli, sa soltanto rispondere con “ Sono Katsura ”. E indovina un po’? Fu proprio questo a mandare all’aria il piano.
    Così, quando lo Shogun, arrabbiato, esclamò: - Chi è l’idiota che ha osato mettersi contro lo Shogun?! -, Zura rispose con il suo classico: - Non sono un idiota, sono Katsura ”.
    Razza di stupido...
    Al fallimento del piano, combattemmo contro tutto il Tenshouin Naraku, ed io contro l’aiutando dello Shogun. Era forte, davvero tanto. Non ci fu vincitore tra noi, siccome quei codardi scapparono. Era una mezza vittoria. Vittoria, perché lo Shogun se n’era andato. Mezza, perché era solo una cosa temporanea. Per ora andava bene così.
    Ma in pochi giorni, ecco qui che lo Shogun era tornato.
    Eravamo di nuovo nella stessa locanda. Sta volta soltanto io e Gin a scambiare qualche parola e qualche stupidata. Sembrava tutto tranquillo, ma a rompere la quieta ecco quello stronzo tornare. Era da solo, ci aveva invitato a sistemare a parole la situazione. Era poco affidabile, ma decidemmo di assecondarlo.
    - Sono venuto per avvisarvi che l’intera città è circondata dalle truppe spaziali del Tenshouin Naraku. – Disse: - Scacco matto, ultimi Samurai! Vi aspetto alle periferie del centro per farvi scontare la vostra pena! Se in qualsiasi momento farete qualsiasi cosa che possa essere una minaccia, tutto verrà raso al suolo! –
    Non avevamo altra scelta se non dirigerci dove quell’idiota ci aveva detto. Sapevamo che nell’andarci ci saremmo sicuramente pentiti. D’altronde, eravamo noi due contro l’intero esercito.
    Andammo lì. Gin se la vide contro la maggior parte dei nemici. Io, invece, me la vidi di nuovo contro Akai, l’aiutante dello Shogun.
    Durante il combattimento contro di lui, arrivò un nostro alleato: Takasugi. Mi salvò da un attacco mortale. Mi aiutò per un poco, poi corse in aiuto di Gin.
    Fu tutto inutile, come già avevo pensato in precedenza. Fummo catturati. Il massimo che potevamo fare era marcire in prigione. Potevamo evadere, ma sarebbe stato inutile. Ci avrebbero ripreso facilmente, così come ci hanno catturati.
    Mentre riflettevo, un ragazzo entrò nella cella. Chiamò il mio nome, poi mi prese per il braccio e mi trascinò fuori, fino ad arrivare davanti alla causa di ogni problema.
    - Voglio darti una scelta, ribelle! – Mi parlò.
    - Quale sarebbe, idiota? – Risposi, irritata.
    - Prima di tutto rispondi ad una domanda: vivere o morire? –
    - Vivere. –
    Lui sorrise in modo provocatorio, mi innervosiva così tanto che avrei voluto tirargli un pugno. Ma mi contenevo, per non fare casini.
    - Ecco a te le scelte, ribelle: Uccidi Shiroyasha e lasciamo vivere te e i tuoi amici, oppure lascia vivere Shiroyasha ma tu e tutti i tuoi amici verrete ammazzati da noi stessi –
    Rimasi zitta. Entrambe le possibilità che avevo erano terribili… E in ogni modo, ci avrei rimesso. Non volevo ammazzarlo, ero pronta anche a rifiutare l’offerta. Avrei potuto ammazzare lo Shogun proprio adesso, conficcandogli la spada alla gola, ma mi sarei ritrovata fin troppi nemici.
    Avrei potuto lasciar vivere Gin, cosicché stesse con Yuria ed Otsu, tuttavia avrei rotto la promessa che prima avevo stretto con lui. Oppure avrei potuto ammazzare Gin, per rispettare la mia promessa.
    Non volevo scegliere. Volevo semplicemente che tutto si risolvesse con un battito di ciglia in modo pacifico. Ma non siamo in una favola, in cui tutto va come vogliamo.
    Strinsi i pugni, poi decisi di rompere il silenzio che era calato.
    - Lo ucciderò. Ma prometti che i miei amici non subiranno nulla. –
    - Sono un uomo di parola. Tu e i tuoi amici rimarrete vivi a costo di Shiroyasha. –
    - Sarà meglio che tu mantenga la parola. –
    In men che non si dica, ero su una montagnetta. Un luogo simile a quello in cui il mio Sensei venne giustiziato da Gin.
    Lui era in ginocchio, con le mani legate dietro la schiena. Ad assistere alla scena Takasugi e Zura, a terra, immobilizzati e resi come mero pubblico.
    Fui portata da due ragazzi. Tenevo in mano la spada con la quale, tra poco, avrei tagliato la testa a Gin.
    - Sakata Gintoki. Colpevole di aver dichiarato guerra allo Shogun e per aver istigato la ribellione contro esso. Sarà oggi condannato alla pena capitale: la decapitazione. Sarà ucciso per nome di Vados Otsuki –
    Mi ero avvicinata a lui. Lo guardavo, in silenzio, senza assolutamente proferir parola. Alzai la spada al cielo, come a prender forza. Rimasi ferma così per qualche secondo, dandogli un’ultima occhiata fuggitiva.
    - Ti ringrazio, nanetta… - Pronunciò, come ultime parole, lui.
    Strinsi fortemente l’elsa, presi coraggio e la mossi all’in basso, tagliando lui di netto la testa.
    Lo avevo appena ammazzato… Quella scena, che tanto odiavo rivedere, in cui il Sensei veniva giustiziato, si era appena ripetuta. La pena capitale l’avevo inflitta io. E al posto suo c’era il suo primo allievo, Gin.
    Guardavo il suo cadavere, sempre senza proferire alcuna parola. Provavo a rimanere impassibile, con un’espressione che la tentava fino all’ultima di rimanere invariata. Tuttavia, per quanto mi fossi sforzata, una lacrima scese. Una, per trattenere le altre cento che aspettavano solo l’occasione giusta, un attimo di distrazione, per cadere. Mi asciugai subito la prima.
    - “Le promesse… Non son qualcosa da fare a cuor leggero”. Me lo dissi tu, no? Spero di averti reso contento, mantenendo viva fino al tuo ultimo istante quella promessa… - Parlai, così a bassa voce da renderla un sussurro.
    Nei giorni a seguire ci fu il suo funerale. Yuria ed Otsu erano in lacrime, ma non erano le uniche. All’aspetto non davo a vederle, ma dentro di me il cuore piangeva, rimpiangendo gli ultimi attimi di pace vissuti con Gin.
    Era un’idiota… Ma lo amavo proprio per questo. Il suo essere così stupido da far ridere, anche quando la situazione richiedeva pura serietà, mi faceva sorridere.
    Il suo modo di fare, l’essere semplicemente sé stesso… lo adoravo. E vedere la mia fonte di sorriso sparire... mi faceva male.
    Ma dovevo rimanere forte, per Yuria, per Otsu e per chi avevo intorno. Dovevo mascherare il mio dolore con una finta forza. Trattenere le lacrime con ogni mio sforzo per provare a far sorridere le mie figlie.
    I giorni passarono, mestamente. L’atmosfera che c’era all’Alba Dorata non bastava a tirarmi via un sorriso. Il massimo che facevo era eseguire delle missioni e tornarmene a casa, senza altro da fare.
    Ricordi le parole dello Shogun? “ Sono un uomo di parola ”? Erano balle.
    Mi starai chiedendo come lo so. Ebbene, non troppo tempo postumo, era tornato a ferire i miei compagni. Se l’era presa con Zura quella volta, tant’è che tirava lui pugni e calci, mentre lui era legato.
    Ma non durò molto lo spettacolo. Venuta a sapere dell’accaduto, intervenni. Sfondai il muro, guardando il mio nemico con uno sguardo tutt’altro che piacevole.
    - Uomo di parola? – Parlai, innervosita
    - Uomo di parola, ribelle. – Ribadì lui, guardandomi.
    Lanciai lui delle fiamme, ustionandolo. Ma lui tagliò le fiamme con la sua katana.
    - Uomo di parola un cazzo. A costo della vita di Shiroyasha, avresti lasciato vivere me e gli altri. E invece, adesso, sei qui a infrangere la tua stessa parola. –
    Lui accennò una risatina, divertito: - Ti pare che potessi fare una cosa del genere?! Ma quanto puoi essere ingenua?! Siete tutti pericolosi quanto lui! Se ammazzo lui, ovviamente ammazzerò anche voi! –
    Tranciai in due la katana avversaria con la mia spada ricoperta di fiamme. Lui mi tirò un pugno, ma lo schivai facilmente. E di netto tranciai lui il braccio destro.
    - Per ogni dittatura vi sarà sempre un ribelle. Se non riesci a difenderti da solo da questo, sta certo che non riuscirai a governare nulla. –
    Lui gridò dal dolore, respirando affannosamente. Sembrava anche spaventato.
    - Giù le mani da chi hai promesso di non toccare. Se ti avvicini una seconda volta, ti ammazzo. Anche se sarò contro voi tutti, ammazzerò tutti quanti. Affronterò un intero esercito da sola, se è per mantenere la promessa che ho fatto. –
    - M-Mi arrendo..! R-Risparmiami...! Mi farò incatenare, m-ma risparmiami..! – Balbettò lui, in preda al panico. Così fu: i suoi uomini lo ammanettarono e lo portarono nelle celle.
    Lì sotto, Takasugi lo ammazzò. Io curai Zura, facendolo scappare.
    Quella storia finalmente si era conclusa, e la cittadina poteva star tranquilla.
    Non fu l’unica notizia positiva. In un mio rientro a casa, infatti, trovai qualcuno ad aspettarmi. Era Gin. Era tornato come Servant.
    Onestamente non mi importava il come era tornato. A me bastava che fosse tornato vicino a me.
    Quando lo vidi di rientro da una missione, mentre era seduto su una sedia vicino alla finestra, gli ero corsa incontro. Lo abbracciai fortemente, come a non lasciarlo più.
    Lui mi accolse volentieri tra le sue braccia, accarezzandomi un po’ la testa. Anche lui era felice di rivedermi.
    Non è ancora finita qui la mia storia. E’ successa un’altra cosa abbastanza recentemente.
    Conosci il Regno di Spade? E’ un regno che confina con Clover, ed è comandato da una specie di dittatura da parte della famiglia Zogratis. Questa è composta da tre fratelli: Dante, Vanica e Zenon. Proprio con quest’ultimo ho avuto a che fare.
    Zenon aveva attaccato l’Alba Dorata. L’aveva praticamente rasa al suolo, ammazzando pressoché metà della compagnia. Ha combattuto anche contro di me, ma non sono riuscita a fare più di tanto. Sono stata sconfitta, quasi ammazzata, a causa sua.
    Come se non bastasse, aveva anche rapito Vangeance. A loro serviva un mago di livello Arcano, i più forti quindi.
    A vedere la mia compagnia atterrata così facilmente, ero rimasta distrutta. Quel luogo, che fin da sempre mi aveva accolto, era diventato una scena del crimine. I miei compagni erano a terra. E Vangeance, la persona che più stimavo… rapita.
    Ero tornata a casa, ferita come non mai, dopo l’attacco. Gin mi aveva subito bendato ed aveva chiesto la situazione.
    Avevo spiegato tutto a lui. Lui era rimasto zitto. Mi aveva fatta sdraiare e se ne stava andando.
    Ho provato a fermarlo, ma lui non voleva saperne. Voleva regolare i conti con Zenon.
    Non voleva ascoltarmi, ed era andato a “regolare i conti ”. Ma non aveva aiutato più di tanto, difatti non poteva far più di tanto contro un avversario del genere. E quando Zenon stava per ferirlo mortalmente, ero arrivata io a salvarlo. Il membro della Triade Oscura se ne era andato e noi, malconci, ce ne eravamo tornati a casa.
    A distanza di giorni ero venuta a sapere che un altro membro dei Zogratis, Dante, aveva attaccato il Toro Nero ed aveva rapito Yami, il suo Comandante. L’ultima, Vanica, aveva attaccato il regno di Heart. Anche lei non si era risparmiata ed aveva rapito Loropechika, la regina del regno.
    Non ero l’unica che era stata attaccata da questi. Anche Erza ne aveva subito, vedendo una sua amica e il suo Comandante venir rapiti.
    Dovevamo allenarci per battere quei tre. Ci eravamo dati come tempo tre settimane prima di partire per Spade, cosicché Erza potesse controllare i poteri del suo Diavolo al 100%.
    Passate quelle tre settimane, io, Gin, Erza, Kai – fratello di Erza –, Gojo – a quanto so, ex-maestro di Erza – e Yuria eravamo partiti per Spade.
    Arrivati lì, ci eravamo divisi per combatterli al meglio. Io e Gin avevamo combattuto nuovamente contro Zenon. Il nostro compito non era quello di ammazzarli, ma piuttosto di catturarli. Anche Yuria voleva aiutarci nel combatterlo. Ma noi l’avevamo fermata, dicendole di guardare soltanto. Non volevo che anche lei si ferisse per colpa di quello stronzo.
    Avevamo combattuto e alla fine ne siamo usciti vincitori noi due. Avevamo finalmente catturato il nemico. A stesso modo, anche gli altri avevano catturato Dante e Vanica.
    E finalmente ci eravamo ripresi i catturati, tra cui Vangeance.
    Sono passati dei mesi da quel giorno. Da quel momento non è più successo niente di interessante o degno di nota da finire qui, nella mia storia.

    Abbiamo finito qui, lettore. Sono certa che ti sarai già addormentato, e che probabilmente non sarai nemmeno arrivato fino in fondo.
    Ora sono libera? Alla buon’ora… Ci vediamo, anche se spero proprio di no.

    as Vados Otsuki
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    Edited by Dororeo - 12/2/2023, 09:58
     
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    Edited by Hiru - 5/5/2021, 19:24
     
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